«Vogliamo il pane, non abbiamo cibo»

Tra le strade del Cairo si respira un’aria diversa. Non è colpa né dell’afa di luglio né degli aromi speziati che con forza invadono i cunicoli della cittadella. In mezzo alla confusione dei vicoli gremiti di gente sin dal mattino, si fa timidamente spazio il profumo del pane appena sfornato.

Sembra un miraggio.

Prima della guerra russo-ucraina la sua fragranza decisa irrompeva nel trantran quotidiano, trascinando i passanti indaffarati dritti al forno più vicino. Un momento di pausa, di condivisione e di gioia che ora però rappresenta un lusso.

Non è solo il prezzo del pane ad essere aumentato, anche la sua disponibilità diminuita drasticamente.

Tipico dolce egiziano a base di farina di semola, acqua, sale, mandorle, zucchero, fiori d'arancio e cannella.

Il Cairo, 2022

In Egitto il pane rappresenta un elemento essenziale nella vita di tutti i giorni.

Non solo per il suo valore culturale (cucinato in forni tradizionali, come al tempo dei faraoni) ma anche perché accompagnatore ufficiale della maggior parte dei piatti, usato come vero e proprio “cucchiaio” per le salse.

Basti pensare che, mentre nei paesi arabi il termine utilizzato per indicarlo è khubz (خبز‎), in dialetto egiziano si usa l’espressione ’aish baladī (بلدي‎ عيش) che viene tradotto letteralmente con “pane di vita”.

Piatti tipici della cucina egiziana accompagnati dall'’aish baladī, elemento centrale in ogni pasto quotidiano.

Il Cairo, 2022

Il pane è quindi al contempo fonte di vita, nutrimento e condivisione. Spezzarlo e farne dono è un gesto ricorrente. Qui il pane è arricchimento interiore, è scambio e storia.

Il suo inestimabile valore però, è oggi messo a dura prova dal rapido precipitare del contesto geopolitico. L’Egitto infatti consuma molto più grano di quanto ne produca, legando il suo pane con doppio filo alle importazioni da Russia e Ucraina.

I Paesi del Medio Oriente, posti di fronte al blocco delle esportazioni di grano ucraino e all’aumento dei prezzi delle materie prime, stanno affrontando gravi problemi in termini di sicurezza alimentare e umanitaria.

Le difficoltà finanziarie di Stati come Egitto e Tunisia, che dipendono in maniera viscerale dall’importazione di grano ucraino e russo, rischiano di esacerbare il malcontento popolare che si respira nell’aria già da tempo.

Gli egiziani pur consapevoli della loro forte dipendenza dall’import di grano sono costretti ad acquistarne all’ingrosso. Le spedizioni però arrivano su base trimestrale, rendendo necessaria una pianificazione della domanda basata sulle previsioni dei consumi futuri.

Nell’attuale contesto geopolitico però, la pianificazione dell’import di grano sembra essere quasi impossibile.

Infatti, tra i paesi del Medio Oriente, l’Egitto è il principale importatore dei grani russi e ucraini che, insieme, contribuiscono a circa il 94% di tutto il fabbisogno di grano estero del paese.



A Khan el-Khalili, il mercato più grande del Cairo, i costi crescenti sono oggetto di conversazione tra i commercianti locali da almeno cinque anni, quando si sono verificate le ultime proteste per il pane. Oggi come allora gli stipendi non aumentano e i tassi di inflazione lievitano. Il costo della vita è sempre più alto e il rischio di esplosione di proteste sociali è nuovamente dietro l’angolo.

Per provare a correre ai ripari in tal senso, durante il mese di Ramadan, lo scorso Aprile, il governo egiziano ha cercato di tamponare la situazione ordinando all’esercito di distribuire, tra le strade e nelle piazze, prodotti alimentari di base (carne, riso, pasta e olio) a prezzi ridotti. Inoltre il recente annuncio del governo di voler aumentare le superfici coltivate a grano (attualmente 3,6 milioni di acri) di 1 milione di acri nel 2023 e di 2 milioni nel 2024, potrebbe rappresentare una possibile soluzione a medio termine per ridurre la dipendenza dell’Egitto dai mercati globali e, in particolar modo, da Russia e Ucraina.





Il malcontento popolare in Egitto era già forte e presente da prima della guerra, oggi però la popolazione è ormai stremata.

Non è la prima volta che in Egitto il prezzo del grano aumenta vertiginosamente. Il paese registra una lunga storia di disordini sociali legati al cibo: dalle rivolte del pane del 1977 alla crisi alimentare globale del 2007-08 che, non a caso, ha condotto al collasso del regime del presidente Hosni Mubarak nel 2011.

La profonda crisi economica del 2016 che ha costretto il Paese a concludere un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per un prestito di 12 miliardi di dollari ha fatto piombare nuovamente l’Egitto nel mirino delle proteste, costringendo il Ministero delle Forniture a limitare le razioni di pane ai fornai, scatenando così un’ondata di proteste i cui slogan recitavano il a gran voce Vogliamo il pane, non abbiamo abbastanza cibo.

Il governo del presidente egiziano al-Sisi dovrà affrontare una sfida complessa, costretto a cercare nuovi fornitori di grano mentre tenta di assorbire il colpo dell'aumento dei prezzi dei generi alimentari. I rapporti indicano che i prezzi del pane non sovvenzionati sono aumentati fino al 50% dall'inizio dell'invasione, mentre il costo sempre più elevato del mais (usato come foraggio) sta alimentando l'inflazione dei prezzi di carne e pesce d'allevamento.

La crisi del grano è sicuramente frutto della guerra in Ucraina, anche se già dallo scorso autunno l’inflazione alimentare era alle stelle. In estate poi, l’effetto dei cambiamenti climatici aveva dato il colpo di grazia alle produzioni agricole di mezzo mondo.

BREAKING NEWS

Il 1° agosto più di 25 milioni di tonnellate di grano bloccate da mesi nei silos ucraini hanno preso il largo. Le acque del Mar Nero si sono divise per consentire il passaggio di dieci navi portacontainer attraverso un corrodoio sicuro, mentre le mine continuano a infestarne le acque.

La guerra non è ancora finita ma, dopo lunghi mesi di trattative, lo scorso 22 luglio Russia e Ucraina avevano raggiunto un accordo mediato da Ankara e dall'Onu. La faticosa intesa prevedeva che, dopo l'ispezione da effettuare a Istanbul dai rappresentanti delle quattro delegazioni (per accertarsi dell’assenza di armi a bordo), il carico di grano ucraino proseguisse il suo viaggio verso il primo paese del Medio Oriente: il Libano.

È stata la Ranzoni, nave mercantile battente bandiera della Sierra Leone – con a bordo il primo carico di grano – ad attraversare il mare illesa. Istanbul è stata raggiunta ma, nonostante l’esito positivo delle ispezioni sottoposte alla supervisione del Centro di controllo (Jcc), il primo carico di grano resta in attesa al largo del golfo turco di Alessandretta, tra le coste della Turchia e l'isola di Cipro.

In un tweet l’ambasciata ucraina in Libano afferma che l’acquirente libanese ha rifiutato il grano ucraino a causa del ritardo nei termini di consegna (cinque mesi). Aggiunge che il mittente è attualmente alla ricerca di un nuovo destinatario, libanese o di un nuovo paese.

Mentre le altre navi della carovana si dirigono ad alta velocità verso i porti delle città di tutto il mondo, ci si chiede perché l’Egitto, principale importatore di grano ucraino, non si sia fatto avanti nell’acquisto del carico di grano bloccato in Turchia.

I rapporti economici tra Egitto e Ucraina pare che si siano raffreddati nel periodo marzo-aprile poiché l’Ucraina non era riuscita ad adempiere ai propri obblighi contrattuali a causa dello scoppio del conflitto e del conseguente blocco dei porti imposto dalle truppe russe.

L’Egitto ha tuttavia ufficialmente rassicurato Il Cairo sul proseguimento degli scambi commerciali tra i due paesi (a differenza di quanto affermato sui giornali russi).

Sembra che si stiano creando le giuste condizioni per ritornare a garantire la sicurezza alimentare di cui il mondo ha bisogno. L’abilità dei governi e soprattutto di quello egiziano, oggi, sta nel riuscire a tenere inalterato lo status quo all’interno del Paese mentre cerca di ripristinare gli accordi commerciali antecedenti alla guerra. Mentre pian piano si riducono le quantità di grano nei porti ucraini, il Medio Oriente attende ancora e guarda al mare in attesa che le navi trasportino i granelli di cereali. Manca poco: le dune stanno ritornando a casa.